Arrestati esponenti del clan Parisi-Palermiti. In manette anche capo dei vigili di Sammichele.
BARI - La Polizia di Stato, nella mattinata odierna, ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Bari, su richiesta di questa Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di 9 soggetti tra cui 8 affiliati al clan Parisi/Palermiti, ritenuti responsabili, a vario titolo, di una serie di reati, tra cui l’omicidio, aggravato dal metodo mafioso, del 24enne Rafaschieri Michele Walter e del tentato omicidio del fratello Rafaschieri Francesco Alessandro di anni 34, consumato in Carbonara di Bari, il mattino del 24 settembre 2018.
Il G.I.P., accogliendo l’impianto accusatorio formulato da questa D.D.A., ha emesso l’ordinanza cautelare in carcere a carico di Palermiti Giovanni, detto “Gianni”, di anni 45, figlio del capo clan “Eugenio”; Mineccia Filippo, detto “u’russ”, di anni 37, genero di Palermiti Eugenio; Ruggieri Michele, di anni 35; Campanale Riccardo, di anni 27; Lavermicocca Domenico, di anni 31; Mastrorilli Giovanni, detto “Nino”, di anni 45; Triggiani Francesco, di anni 45; Catalano Gianfranco, di anni 36, tutti censurati, nonché di D’Arcangelo Domenico, di anni 53, Comandante della Polizia Municipale del Comune di Sammichele di Bari.
Le indagini, delegate alla Sezione Criminalità Organizzata della Squadra Mobile della Questura di Bari, sono state avviate nelle fasi immediatamente successive all’evento delittuoso ed hanno consentito di determinare movente, mandante, autori materiali e fiancheggiatori del grave episodio criminoso - inquadrato nella faida per il controllo del traffico e dello spaccio di droga in alcuni quartieri di Bari - tra il clan Parisi/Palermiti e il clan Strisciuglio, che ha interessato questo capoluogo tra il 2017 e il 2018.
I numerosi elementi acquisiti nel corso delle articolate e complesse indagini hanno consentito di ricostruire, in maniera puntuale, l’evento criminoso sin dalla sua genesi, attraverso l’individuazione non solo degli esecutori, ma anche della rete di supporto logistico che ha consentito la realizzazione del delitto e le condizioni per garantire l’impunità ai loro autori.
Dalle indagini è emerso che l’azione fu commessa da un commando armato composto da Giovanni Palermiti e Filippo Mineccia, che la idearono, organizzarono ed eseguirono con l’intento di assassinare entrambi i fratelli Rafaschieri. Solo per un caso fortuito, Francesco Alessandro Rafaschieri, pur colpito a distanza ravvicinata, rimase ferito, peraltro molto gravemente, restando poi paralizzato alle gambe.
Alle fasi di pianificazione del delitto parteciparono attivamente anche Michele Ruggieri e Riccardo Campanale, che fornirono le armi ed il materiale necessario alla realizzazione dell’azione criminosa, a cui presero parte anche Gianfranco Catalano, con il preciso compito di segnalare al commando l’arrivo delle potenziali vittime e Domenico Lavermicocca, il quale, nelle fasi immediatamente successive all’omicidio, si adoperò per disperdere ogni traccia od elemento che potesse ricondurre agli autori dell’azione di fuoco.
Domenico D’Arcangelo, Comandante della Polizia Municipale del Comune di Sammichele di Bari (BA), dopo l’omicidio, consentì al Palermiti di costituirsi un alibi, inducendo una sua agente a redigere un falso verbale di violazione al codice della strada, per attestare la presenza del Palermiti in Sammichele il giorno e l’ora del delitto, consapevole del ruolo del Palermiti nella compagine criminale del quartiere Japigia di Bari. In cambio, il D’Arcangelo riceveva un cellulare del valore di 800 euro ed una somma non accertata, ma elevata, di denaro. Peraltro, affatto pentito della sua condotta, in occasione delle indagini, sapendo che la sua agente era stata interrogata dagli investigatori, pronunciava frasi inequivoche “…quelli non hanno le prove… se no avrebbero già fatto” (mentre era intercettato); e diceva alla sua agente: “tu dì non mi ricordo, …ripeti la teoria che non ricordi niente”.
Sono stati attinti dal provvedimento cautelare anche due sodali storici del clan, ossia Giovanni Mastrorilli e Francesco Triggiani, ai quali è stato contestato il porto e la detenzione di armi da fuoco.
Nel corso dell’attività d’indagine sono state utilizzate le più moderne ed innovative tecniche investigative che hanno permesso di sequestrare le armi e le autovetture utilizzate nell’agguato.
La piattaforma indiziaria a carico degli indagati, per di più, è stata corroborata dalle dichiarazione rese dal collaboratore di Giustizia Domenico Milella, anch’egli attore nell’azione delittuosa, le cui propalazioni hanno confermato il quadro probatorio già evidenziato dalle indagini della Squadra Mobile, coordinata da questa Procura Distrettuale.