L’ente comunale monopolitano ha avuto ragione su ricorsi al Pug. In cinque sentenze confermati i principi dello strumento urbanistico.
Il Consiglio di Stato ha dato ragione al Comune di Monopoli, difeso dall’avvocato Lorenzo Dibello, rigettando i ricorsi proposti da Borgo Capitolo srl, Cofano Domenico, Palmieri Giuseppe+1, Lm Srl e Lm srl in merito alle diverse ipotesi di illegittimità in ordine agli atti di pianificazione del PUG del Comune di Monopoli le cui Norme Tecniche di Attuazione e i relativi principi e precetti normativi restano preservati nella loro interezza.
«Si tratta di cinque sentenze di un certo rilievo che certificano ancora una volta, qualora ce ne fosse bisogno, la bontà del nostro strumento urbanistico. Il Consiglio di Stato ha confermato quanto previsto dal Pug adottato nel 2007 e approvato definitivamente nel 2010», afferma il Consigliere Comunale delegato alla Pianificazione del territorio e demanio Stefano Lacatena.
Per quanto riguarda le aree dei contesti della trasformazione turistico-ricettiva e residenziale della Borgo Capitolo srl, di Cofano Domenico e di Palmieri Giuseppe+1 gli appellanti lamentavano l’illegittimità delle disposizioni dell’art. 24/P NTA relative alla contestualità degli interventi turistici e residenziali e all’obbligo di cessione del 40% di superficie totale al comune. Il Consiglio di Stato ha ritenuto fondate le controdeduzioni dell’Ente e ha rigettato il motivo di gravame relativo al presunto difetto di motivazione. I giudici hanno, inoltre, ritenuto che “ la previsione del PUG è comunque migliorativa per le aree in esame, consentendo una destinazione residenziale del 40% della superficie utile lorda prima non prevista”. Per i giudici “il fabbisogno di aree turistiche è stato stimato […] in 689.710,80 mq, anche se, per contenere il consumo di suolo e per incentivare la realizzazione delle strutture ricettive rendendola meno onerosa per i proprietari delle aree oggetto di trasformazione, è stato poi previsto l'insediamento di soli 211.863,50 mq per strutture ricettive, consentendo per il resto (40% della superficie utile lorda complessiva) la costruzione di edifici residenziali”.
Il Consiglio di Stato nel rigettare il ricorso in appello della LM SRL in merito al presunto difetto di motivazione e relativamente alle aree con destinazione a contesti di servizio di nuovo impianto, ha ritenuto che “ la società non era titolare di alcuna aspettativa qualificata circa una vocazione edificatoria del suolo in relazione al precedente piano integrativo presentato nel 2004” in quanto la presentazione “era intervenuta in un momento in cui l’area era ancora tipizzata verde pubblico attrezzato”. Per i giudici c’è una “ insussistenza dell’invocata aspettativa qualificata, non essendo il piano integrato mai stato oggetto di una definitiva approvazione ”.
In merito all’altro ricorso in appello sempre della LM SRL è stato rigettato il motivo di gravame relativo al presunto difetto di motivazione e sono state recepite le deduzioni dell’Ente. I giudici hanno stabilito che, sempre su aree con destinazione a contesti di servizio di nuovo impianto, “ le scelte urbanistiche del Comune configurano valutazioni di merito sottratte al sindacato giurisdizionale di legittimità, e non risultano inficiate da errori di fatto, violazioni procedurali, illogicità abnormi e sono confliggenti con particolari situazioni che abbiano dato luogo ad aspettative qualificate”. Per i giudici “non appare poi fondata la lamentata disparità di trattamento poiché sulla base delle cartografie depositate in giudizio, le aree limitrofe sono quasi integralmente edificate e carenti di aree destinate a soddisfare gli standard a servizio”. Inoltre , “la scelta di comprendere l’area della società appellante nei contesti urbani per servizi di nuovo impianto è stata dunque funzionale a garantire al centro urbano abitato (in cui ricadono le particelle in esame) zone da destinare a servizi, sulle quali, peraltro, non sussisteva alcuna qualificata aspettativa, in virtù della deteriore pregressa tipizzazione ”.
Il Consiglio di Stato ha, altresì, ritenuto legittime in tutti e cinque i ricorsi le disposizioni (art.24/P e art. 27.04 bis delle NTA) relative all’obbligo di cessione rispettivamente del 40 e del 70% di superficie totale al Comune in quanto il “ modello perequativo previsto non si discosta dalle finalità dell’istituto lì dove l’Amministrazione impone la cessione obbligatoria”. Per il Consiglio di Stato “la diffusione delle tecniche perequative, è diretta ad evitare che le scelte relative alla edificabilità dei suoli creassero eccessive sperequazioni tra classi di proprietari e che i Comuni debbano sostenere ingenti carichi finanziari per poter disporre delle aree necessarie alla realizzazione dei servizi. Nel caso della cessione compensativa, in particolare, si prevede la corresponsione di un corrispettivo, costituito da diritti edificatori, per la cessione di un’area”. Per i giudici “la superficie compensativa minima pari al 70% della superficie totale, prevista per realizzare opere di urbanizzazione primaria e secondaria, non può ritenersi sbilanciata e non può considerarsi come una limitazione del diritto proprietà”. Le norme del Pug di Monopoli non contrastano nemmeno con la cessione obbligatoria con le disposizioni di cui al DM n. 1444/1968 in quanto “tali previsioni, anche per quel che riguarda le ipotesi di cessione hanno natura di limiti inderogabili al di sotto dei quali le prescrizioni regolamentari dei Comuni non possono scendere” ed è “possibile che l’Amministrazione comunale, nell’esercizio dei propri poteri pianificatori, possa derogarli in senso ampliativo non costituendo tale ipotesi neppure un automatico sovradimensionamento degli standard urbanistici”. Infine, i giudici scrivono che “le aree destinate ad ospitare attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale sono, infatti, genericamente destinate a tale scopo” e per “le altre aree vicine, essendo già state edificate prima della approvazione del PUG (per questo consolidate) non era ammissibile alcuna diversa destinazione, mentre quelle della società ricorrente erano destinate a servizi pubblici dal previgente strumento urbanistico”.