Il centrocampista si è raccontato nel corso di Fuoricampo tra aneddoti della sua carriera, infortunio e prospettive. Intanto, domenica ha toccato 300 tra i prof.
Calvano is back. E fa pure 300. Dopo sei mesi di buio, con un ginocchio che, ad un certo punto, ha detto basta, il centrocampista numero 23 ha riassaporato l’odore “verde” dell’erba, quello dei contrasti, quello delle vittorie e delle sconfitte. Simone Calvano non giocava dal 29 settembre: era la mezz’ora del match tra Catania e Monopoli quando chiese il cambio. Dentro Bulevardi e per lui inizia l’inferno. Lui, Calvano, che doveva essere il padrone del centrocampo biancoverde. Inizialmente, si pensa che, grazie ad una terapia conservativa, potesse farcela a tornare in campo in breve tempo. Ma la speranza dura poco, perché il ginocchio continua a fare male e allora si decide per l’intervento. Nonostante la difficoltà e il ginocchio malandato, ammette di «Non aver mai pensato di smettere». Infatti, pian piano, riprende la preparazione: prima piscina, poi gradualmente corsa e campo, fino a rientrare in gruppo diviso tra prima squadra e Primavera, dove i ritmi potevano essere più blandi. Domenica, però, si fa male Bulevardi e Colombo non ci pensa due volte: si riscaldano Scipioni e Calvano. Manca ancora qualche minuto alla mezz’ora del primo tempo, così Colombo capisce che è ancora prematuro dargli più di un’ora in campo e gli preferisce Scipioni. Ma al 34’ del secondo tempo la tabella elettronica del team manager, Fabio De Carne, è chiara: dentro il numero 23 al posto del 32. Fuori Falzerano, dentro Calvano. Ci siamo. Guarda caso, il rigore nasce da una sua verticalizzazione. Guarda caso, appunto. Ora che il peggio sembra passato, Calvano è pronto a dire la sua: «Ho sofferto tanto, ora è arrivato il momento di ripagare la fiducia di tutti e dare il mio contributo. Possiamo ancora dire la nostra- dice con il piglio da leader- e, se non potremo arrivare in serie B dalla porta principale, ci sono i play-off». Anche perché per Simone la ferita dello scorso anno è ancora aperta: «Sono sicuro che se fossimo partiti dal secondo posto (Il Taranto al netto delle penalizzazioni, sarebbe partito proprio dalla seconda piazza, n.d.r.) saremmo arrivati in fondo». Perché, il pensiero di Calvano è chiaro: Carrarese e Vicenza non erano più forti del Taranto. Ora, però, c’è da pensare a questa parte finale di stagione. Nel frattempo, megafono in mano, ha fatto anche il lanciacori sotto la Curva: «Avevo paura di sbagliare il testo! Non me lo avrebbero perdonato e molti miei compagni aspettavano solo un mio errore!», dice ridendo. A proposito: gli facciamo notare che, numeri alla mano, il rientro di domenica è stata anche la partita numero 300 tra i prof: «Non lo sapevo, pensavo me ne mancassero ancora due o tre. Bene così, allora». Tra queste 300, ce ne sono anche 15 in serie A, tra cui il debutto col Milan, squadra in cui è cresciuto, e le altre col Verona. La partita più bella, forse, deve ancora venire, ma su quella che ha più nel cuore non ha dubbi: «Un’Inter-Verona di qualche anno fa. Giocare una partita intera a San Siro, lo stadio della mia città, in serie A, è qualcosa di indimenticabile». Abbiamo trovato il tabellino: era il 31 marzo 2018 e finì 3-0 con doppietta di Icardi e gol di Perisic. Sul giocatore più forte con cui abbia mai giocato, anche qui niente dubbi: «Ibrahimovic». Ok, non c’è bisogno di spiegazioni. Ma, quando gli chiediamo dei comuni mortali, ecco la sorpresa: «Occhio a Bruschi, è uno che ha i colpi per poter giocare almeno in serie B». E allora qualcuno sogna: corner di Bruschi e inzuccata di Calvano. Per dire “grazie”.